Tutti se la ricordano con quel costume da bagno bianco, i capelli ricci ribelli e un sorriso che hai solo a 20 anni. Immortalata per sempre sul litorale di Fregene in un giorno qualsiasi d’agosto. Nessuno avrebbe mai pensato che quello scatto sarebbe diventato nell’immaginario collettivo il simbolo di uno dei delitti più efferati e mai risolti della cronaca nera italiana. A ricostruire i fili intricatissimi, o meglio il “gomitolo” come suggerisce l’ispettore Montella, di questo capitolo ancora inquietante della storia italiana recente ci ha provato Pietro Valsecchi, nella fiction “Il delitto di via Poma”, in onda questa sera su Canale 5.

Novanta minuti per raccontare più di 20 anni di bugie, errori, piste false e tanta tantissima omertà. E’ il 7 agosto del 1990 quando in un condominio come tanti del quartiere Prati di Roma, in via Poma, viene ritrovato il cadavere della ventunenne Simonetta Cesaroni, impiegata come segreteria part time in un’associazione di ostelli della gioventù. E’ agosto, la calura invade le mura della capitale, e tutti, magistrati compresi, hanno solo voglia di partire per le vacanze. A scoprire il cadavere della giovane, massacrato con quasi 40 coltellate, la sorella Paola, cui presta il volto Giulia Bevilacqua, che è la prima a dare l’allarme e a mettersi alla ricerca di Simonetta.

Mentre la corte d’Assise di Roma, proprio in questi giorni, sta disponendo una nuova maxi perizia per cercare di far luce sul delitto, arriva in tv in prima serata la fiction che tenta di dirimire (o forse ingarbugliare ancor più) i fili di questo delitto perfetto, o forse “troppo fortunato”.

“Sono sempre stato turbato dal delitto di via Poma – ha commentato Roberto Faenza, regista del film – Qualcosa non quadra in questa storia: ci sono state 31 persone indagate e tutte, a modo loro, hanno mentito, non perché direttamente coinvolte nell’assassinio, ma per non far emergere storie più personali, magari intrighi legali o i tra amanti”.

Un Peyton Place all’italiana? “La fiction è certamente la metafora di un Paese, il nostro, dove la verità non arriva mai” ha aggiunto Pietro Valsecchi. Commissari distratti o forse troppo interessati ad arrivare ad un colpevole subito, il reggiseno – la prova principe che ha permesso di incastrare Raniero Busco, fidanzato di Simonetta, nell’ultimo processo (e che propone anche un’inquietante analogia con il caso di Meredith Kercher) – dimenticato per anni in un armadio del medico legale, senza la garanzia della catena cautelare.

Si arriverà mai alla verità sulla morte di Simonetta Cesaroni? Il quesito rimane aperto, e a suggerirlo è lo stesso Valsecchi, che nelle ultime scene decide di riproporre le sue immagini, il suo sorriso, quel giorno d’estate a Fregene.

Alessia Casiraghi