EMANUELA ORLANDI – LA SCOMPARSA

Nel pomeriggio del 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi, una quindicenne figlia di un messo della prefettura della casa Pontificia e cittadina vaticana, esce di casa e si reca, come di consueto, alla scuola di musica che si trova in piazza Sant’Apollinare a Roma.

Durante il tragitto, però, fa uno strano incontro: un uomo, ben vestito e a bordo di una Bmw verde, la ferma e le offre un lavoro come venditrice di cosmetici Avon nel corso di una sfilata di moda.

La proposta sembra allettante, anche perché la paga è piuttosto alta, tuttavia Emanuela, prima di accettare, deve parlarne con la sua famiglia. È facile immaginare che quel giorno, durante la lezione di musica, il pensiero della ragazza sia rimasto ancorato a quell’uomo e a quell’offerta di lavoro… E infatti alle 19 Emanuela esce in anticipo dalla scuola di Sant’Apollinare e telefona a casa, parlando con la sorella maggiore. Questa si dice scettica sulla proposta e la esorta comunque a tornare a casa e a parlarne con i genitori.

Emanuela si confida anche con la compagna Raffaella Monzi, con la quale si reca alla fermata dell’autobus. Sono le 19.30. Le due ragazzine si salutano ed Emanuela resta sola, ma per poco.

Secondo la testimonianza di un vigile urbano in servizio davanti al Senato, infatti, Emanuela viene raggiunta da un uomo di circa 35 anni, alto 1 metro e 75, con una valigetta e una Bmw scura metallizzata. Tutto fa pensare che si tratti della stessa persona incontrata qualche ora prima. La Orlandi chiede al vigile dove si trovi la Sala Borromini, dopodiché, a detta di altri testimoni, sale sulla Bmw guidata dall’uomo misterioso.

Della giovane cittadina vaticana, da questo momento, si perde ogni traccia.

LE INDAGINI

Quella che in un primo momento poteva sembrare una fuga volontaria di un’adolescente, ben presto assume i contorni di un giallo internazionale che ruota intorno allo Stato Vaticano. Il rapimento di Emanuela Orlandi viene messo in relazione con l’attentato a Papa Giovanni Paolo II compiuto da Mehmet Ali Agca.

A intrecciare le due vicende è una telefonata giunta alla sala stampa vaticana il 5 luglio 1983.

A chiamare è un uomo con uno spiccato accento anglosassone, che per questo verrà ribattezzato “l’Americano”.

L’uomo dice che Emanuela è nelle mani di un sedicente “fronte di liberazione anticristiano Turkesh” e pone come condizione, affinché venga liberata, il rilascio di Agca entro il 20 luglio di quello stesso anno.

A dimostrazione del fatto che non sta mentendo, telefona anche alla famiglia Orlandi e fa sentire la voce registrata di Emanuela che dà alcune informazioni personali.

In tutto le telefonate dell’Americano saranno 16, ma non porteranno mai a nulla di concreto. Anche le altre piste seguite a un certo punto verranno abbandonate per mancanza di dati concreti.

Nel luglio del 1997, 14 anni dopo la scomparsa, la prima inchiesta su questa vicenda viene chiusa. Per il giudice vi è “il fondato convincimento che il movente politico-terroristico costituisca in realtà un’abile operazione di dissimulazione dell’effettivo movente del rapimento”.

Roberta BRUZZONE – criminologa e psicologa forense Presidente dell’Accademia Scienze Forensi