Dopo le intercettazioni telefoniche che hanno pizzicato Fabrizio Miccoli definire “fango” il magistrato assassinato dalla mafia Giovanni Falcone, oggi l’attaccante del Palermo chiede scusa davanti alla stampa in una conferenza rotta dalle lacrime.

Trentadue minuti di parole nel retrosala di un hotel all’incrocio tra via Libertà e piazza Croci a Palermo. Tifosi alle porte, molti delusi, tanti dicono schifati. E lui, dentro, si difende dalle accuse così:…

Molte testate colleghe titolano già “Lacrime di coccodrillo”. Altri sono convinti che in discoteca, con i malavitosi della Trinacria, ci sia andato eccome. Qualcuno gli chiede anche se, dopo le parole infamanti contro il giudice Giovanni Falcone, abbia qualcosa da dire anche su Paolo Borsellino. Fabrizio Miccoli, 34 anni, più di 20 passati sui campi da calcio, oggi è in trincea, e dopo l’interrogatorio fiume di ieri in Tribunale cerca di difendersi di fronte ai cronisti, ai suoi estimatori, alla città che l’ha adottato, a se stesso. Forse.

Sono andato via di casa a 12 anni per fare il calciatore. […] Ho cercato in questi sei anni di essere amico spontaneo con tutti, senza pensare magari a cosa andavo incontro“. E ancora: “Sono tre giorni che non riesco a dormire perché sono uscite cose che non penso assolutamente” ha detto con la voce spezzata. “E l’ho dimostrato con i fatti, al di là della generosità che ho sempre avuto. Sono qua a prendermi le mie responsabilità e chiedere scusa a tutta la città di Palermo. A chiedere scusa alla mia famiglia che mi ha fatto crescere in un contesto di valori, di rispetto“.

Il giorno dopo l’interrogatorio “fiume” durato 5 ore davanti ai magistrati che a Palermo lo accusano di estorsione e accesso abusivo al sistema informatico, l’ormai ex capitano del Palermo ha incontrato la stampa per chiarire le sue posizioni soprattutto relativamente a delle intercettazioni in cui, parlando con un suo amico figlio di un boss di Cosa nostra, il giocatore definiva “fango” Giovanni Falcone.

Sono vent’anni che faccio questo lavoro – ha detto Miccoli – “Sono andato via da casa a 12 anni per fare quello che ho sempre voluto fare nella vita, cioè il calciatore. Sono un padre di famiglia, ho due bambini, e li vorrei fare crescere nella massima legalità, come sono cresciuto io. Perché io sono un calciatore, e non sono un mafioso. Sono contrarie tutte quelle che sono i pensieri della mafia e ho cercato in questi sei anni di essere amico spontaneo con tutti, senza pensare magari a cosa andavo incontro“.

Lacrime di coccodrillo o vera penitenza? Di certo, Miccoli si è fatto un grande autogol.

Paola PERFETTI