Comincia così una girandola senza fine di accuse reciproche ben congeniate. Lei accusa lui. Lui accusa lei. Strategia difensiva concordata, lucidamente diabolica o genuino accanimento? Il processo guadagna così rapidamente le prime pagine di tutti i maggiori quotidiani. Entrambi diventano personaggi: lui freddo, schivo, ma sempre cortese. Lei aggressiva, bellissima, sempre seducente.

Nel 1966 comincia quello che sarà un processo lunghissimo, 142 udienze, 120 testimoni sentiti in dibattimento, con continui colpi di scena, lacrime, svenimenti, feroci litigate coniugali, accuse e controaccuse che terranno con il fiato sospeso l’opinione pubblica udienza dopo udienza. Fino alla sentenza, il colpo di scena finale. Dopo ben 30 ore di camera di consiglio entrambi vengono assolti per insufficienza di prove.

I giudici, pur sicuri che ad uccidere Faruk Chourbagi, sia stato uno dei due o forse tutte e due insieme, nel dubbio sull’effettivo ruolo dei due nella vicenda, decidono di assolvere i coniugi. Quando nel ’68, in Appello, i due saranno entrambi condannati a 22 anni di reclusione – sentenza confermata nel ’74 in Cassazione – le loro esistenze saranno troppo lontane per la giustizia italiana: ormai divorziati, lei vive al Cairo dove fa la guida turistica; lui in Svizzera, con i figli, industriale di prodotti dietetici. Nessuno dei due pagherà mai per il brutale omicidio di Faruk Chourbagi.

Roberta BRUZZONE – criminologa e psicologa forense Presidente dell’Accademia Scienze Forensi