36 anni, benestante, ristoratore di successo e titolare di una delle zupperie più alla moda del capoluogo lombardo, Ruggero Jucker è il rampollo di una importante famiglia della Milano che conta.

La sua vita non aveva conosciuto particolari problematiche fino a quella tragica notte tra il 19 ed il 20 luglio 2002, quando uccise la fidanzata Alenya Bortolotto, 26 anni, in
un’orgia di sangue. Senza un perché.

Quella notte di puro orrore ancora oggi offre molti punti oscuri.

La gente del condominio viene svegliata all’alba da delle urla provenienti dal suo loft al pian terreno dell’elegante condominio e dà l’allarme. Ma facciamo un passo indietro. E’ il 19 luglio.

Alenya va a casa di Ruggero in via Corridoni 41. Lui vive in un bell’appartamento in pieno centro. Ironia della sorte proprio a pochi passi dal Palazzo di Giustizia. I due decidono di  cenare in casa. Sembra tutto normale. Fanno l’amore un paio di volte (sulla base di quanto dirà Ruggero in sede di interrogatorio) e senza usare alcuna precauzione. Lui le massaggia la schiena. Sembra tutto normale. Ma Ruggero è agitato. Molto più agitato del solito. Intorno alle 4.30 i vicini sentono delle urla strazianti provenire dal suo appartamento. Sono grida di donna. L’ultimo disperato tentativo di Alenya per sottrarsi alla furia omicida di Ruggero. Ma non avrà scampo e alla fine sul suo corpo di coltellate se ne conteranno davvero molte, almeno 22 secondo l’esame autoptico.

Si sa, Ruggero aveva una vera e propria passione per i coltelli da sempre…e li sapeva usare. E per assassinare brutalmente Alenya ne aveva utilizzato uno affilatissimo, di quelli che solitamente si usano per il sushi. Ma non si era limitato a
colpirla numerose volte. Ne aveva anche dissezionato il corpo in diverse parti. Il tutto senza una ragione apparente che potesse, anche minimamente, spiegare quella incredibile ferocia.

Alle 4.40 arrivano gli operatori di Polizia. Erano stati i vicini di casa di Jucker a dare l’allarme pochi minuti prima. E, una volta sul posto, gli agenti trovano Ruggero completamente nudo, coperto di sangue ed in stato di shock (almeno apparentemente) per strada davanti al suo palazzo.

In un cestino dei rifiuti all’angolo della strada aveva appena buttato la sua camicia da notte inzuppata con il sangue di Alenya. Gli agenti lo fanno salire in auto poi entrano nell’appartamento teatro dell’omicidio e trovano la donna stesa in posizione supina proprio accanto alla lavatrice. Il bagno e’ stato già sommariamente ripulito. La vittima indosso ha solamente una maglietta blu. Le condizioni del corpo sono disperate. L’attività di dissezione è abbondantemente riconoscibile.

Mancavano alcune parti di alcuni organi interni trovati poi, seppur parzialmente, nel giardino davanti all’abitazione. L’arma del delitto era ancora appoggiata sul corpo della vittima.

Ruggero, interrogato a lungo in merito a cosa lo abbia spinto ad operare tale scempio, risponderà lucidamente agli inquirenti di aver tratto ispirazione dal film “Hannibal” anche se non racconterà mai che cosa ne fece delle parti di
fegato di Alenya che non sono state mai ritrovate. Certo, alla luce della sua fonte di ispirazione, non è poi così difficile intuire ciò che avvenne.

La causa di morte è combinata: arresto cardio-circolatorio unitamente a grave shock emorragico. Alenya purtroppo ha avuto
tutto il tempo di rendersi conto di cosa le stava capitando.

Poi Ruggero si spoglia, riempie la lavatrice con una serie di indumenti che si erano sporcati di sangue e la aziona. L’obiettivo è
chiaro: cancellare tutto, occultare le tracce, depistare. Nasconde anche il barattolo che contiene marijuana. Ma si accorge ben presto che non avrà’ il tempo di cancellare tutto. I suoi vicini hanno sentito le urla. La Polizia con ogni probabilità sta già arrivando. Meglio cambiare strategia. E alla svelta. Allora fugge in strada, si spoglia completamente e grida frasi del tipo “Sono Osama Bin Laden!” più forte possibile perché vuole che i suoi condomini lo sentano. Si sa, la (presunta) follia in questi casi può rappresentare un’ottima via d’uscita sotto il profilo giudiziario.

Ha giusto il tempo di gettare la camicia da notte zuppa di sangue (che gli operanti troveranno subito dopo il suo arresto). Poi arriva la volante e viene immediatamente fermato.

Subito dopo l’arresto il suo legale comincia ad avanzare l’ipotesi che Ruggero Jucker abbia agito in condizioni di infermità di mente e chiede che venga effettuata una perizia psichiatrica sul rampollo milanese. Secondo il legale l’omicidio era dunque da attribuire ad un “raptus” di follia. Ma sul punto la ricostruzione difensiva non sembra reggere affatto per una serie di motivazioni.

In primis l’omicidio è stato commesso all’interno di un arco temporale significativo e non si è risolto in pochi attimi di “discontrollo”. Jucker ha colpito ripetutamente Alenya e poi ha operato su di lei una dissezione che presuppone una certa lucidità e determinazione oltre che precisione.

Per uccidere ha utilizzato un coltello che normalmente teneva in cucina quindi deve essere uscito dalla camera dove dormiva con la vittima per procurarselo. E anche la scelta dell’arma lascia chiaramente propendere per una estrema lucidità: c’erano altri coltelli nella sua disponibilità e lui ha scelto appositamente quello più affilato che era ancora nella scatola regalo, non un coltello qualunque in mezzo a molti. Questi ed altri elementi che ne dimostrano la lucidità e la ferocia gli valgono in primo grado una condanna a trent’anni perché, secondo il GUP, l’aggravante della crudeltà superava le attenuanti.

In secondo grado la pena gli verrà ridotta a 16 anni tra le polemiche dell’opinione pubblica.

Già da tempo Jucker ha cominciato a beneficiare dei primi permessi premio per buona condotta.

Nella casa del massacro però non e’ mai più voluto tornare.

 

Roberta BRUZZONE – criminologa e psicologa forense Presidente dell’Accademia Scienze Forensi