Si torna a parlare di quote rosa in questi giorni, con una notizia che arriva dalla Norvegia, protagonista di una vera “rivoluzione” a sostegno della competenza e della professionalità femminili.
E non si tratta di un lieve “suggerimento” ma di una concreta e perentoria minaccia di sciogliere i cda (consigli di amministrazione), se non saranno costituiti almeno dal 40 % da donne.

Un’esagerazione? A quanto pare no, perché, dati alla mano, le aziende con una guida “rosa” sono quelle che presentano bilanci in attivo, nonché rapporti più sereni tra il personale.
Non basta la meritocrazia, dunque, per migliorare le sorti dell’economia, ma anche, e soprattutto, l’abbattimento di mentalità arcaiche, che impediscono alle donne di “far parte del gioco”.

E in Italia, a che punto siamo? La verità, si sa, è alquanto distante dall’obiettivo del 40%, soprattutto se consideriamo le statistiche dell’intero Paese, ma esiste una realtà, regionale e locale, che andrebbe presa ad esempio.
Si tratta della città di Milano, dove il 33,7% delle imprese lombarde ha una donna ai suoi vertici.
Un bel risultato, bisogna ammetterlo, ed inaspettato, se si pensa alle difficoltà oggettive causate dalla crisi economica degli ultimi anni. Ed è proprio a fronte di questo clima che la crescita dell’1,2% delle imprenditrici, dal 2009 ad ora, lascia piacevolmente sorpresi, se confrontato con l’1,8% in meno degli imprenditori.

Femmine meglio dei maschi, dunque? Sarebbe troppo semplicistico archiviare questa notizia avvalendosi di una morale così banale, ma certo è che le capacità di una donna, quando sono lasciate libere di esprimersi, fanno arrivare molto in alto.
In cosa eccellono le donne, rispetto agli uomini? Gianna Martinengo, presidente del Comitato per la Promozione dell’Impresa Femminile, sostiene che le donne “riescono a premiare il capitale umano, l’istruzione e il lavoro della conoscenza, elementi presenti e diffusi nell’universo in rosa”, elementi che, in situazioni di crescita e competitività, risultano vincenti.

Un altro dato importante e incoraggiante riguarda il ruolo che le donne straniere hanno avuto nell’incremento dell’imprenditoria “in rosa”: si tratta del 17,7% delle piccole imprese, gestite principalmente da cinesi, peruviane e rumene. Sono un piccolo esercito di 4.400 ditte, in continua crescita, che testimoniano che l’integrazione è possibile.

Buone notizie, dunque, che però non devono essere assorbite passivamente, ma interpretate come un inizio dal quale partire. In una doppia corsia : maggior riconoscimento dei valori delle donne e perfetta integrazione delle extracomunitarie nel loro paese d’adozione.

Modernità, tolleranza e rispetto passano (anche) da qui.

Vera Moretti