Il premio Nobel per la Pace è stato assegnato ieri ad Oslo e a vincerlo sono state tre donne: Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia, la sua connazionale Leymah Gbowee che fu protagonista di una mobilitazione femminile contro la guerra civile e la yemenita Tawakkul Karman, attivista per la democrazia.

Le motivazioni sono chiare, dal momento che il Nobel per la Pace vuole essere un riconoscimento del rafforzamento del ruolo delle donne nei paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda Ellen Johnson Sirleaf, la sua vittoria era prevista già alla vigilia della proclamazione, dal momento che, con i suoi grintosi 72 anni e la carica di presidente del suo paese, è considerata simbolo della nuova Africa. E tra pochi giorni dovrà affrontare le elezioni per cercare di confermare il suo mandato.
Nonostante ciò, comunque, non tutti approveranno la scelta di premiarla con un riconoscimento tanto prestigioso, perché il suo passato, costellato anche da una condanna a dieci anni di carcere e un espatrio negli Stati Uniti dove ricoprì ruoli di responsabilità ai vertici di istituti di credito e della Banca Mondiale, non è, secondo Maso Notarianni di Emergency, compatibile con l’idea pacifista che questo premio porta con sé.

Leymah Boree è una militante pacifista e non violenta che ha contribuito a porre fine alle guerre civili che hanno caratterizzato il suo paese fino al 2003. La sua biografia Mighty Be Our Powers: How Sisterhood, Prayer, and Sex Changed a Nation at War (La forza dei nostri poteri: come le comunità di donne, la preghier e il sesso hanno cambiato una nazione in guerra), da poco pubblicata, è utile per comprendere cosa ha spinto la “rossa”, come è soprannominata, a lottare per la pace.
Sua l’iniziativa dello sciopero del sesso, che costrinse Charles Taylor e il suo regime ad ammetterla al tavolo delle trattative per la pace.

Tawakkol Karman è invece un’attivista yemenita per i diritti umani, leader della protesta femminile contro il regime dello Yemen. Giornalista, ha fondato l’associazione Giornalisti senza catene e milita nel partito islamico conservatore Al Islah, primo gruppo dell’opposizione.
Nel gennaio di quest’anno era stata arrestata dalle autorità yemenite, costrette poi a rilasciarla sotto la pressione delle manifestazioni in suo sostegno, che hanno portato in strada migliaia di persone.

Non c’è che dire, tre donne forti e combattive che vogliono a tutti i costi contribuire alla crescita del loro paese.

Vera Moretti