Chi avesse letto il libro di Serena Dandini “Ferite a morte” non si stupirà più di tanto nel leggere questa storia.

Accade in molte parti del mondo, compresi i cosiddetti “paesi civilizzati”, che le donne riducano in schiavitù altre donne costringendole ad effettuare lavori domestici in condizioni disumane, per un misero tozzo di pane, privandole di ogni libertà individuale e civile.

E’ cosa comune negli Emirati Arabi e in certe zone del Nord Africa. Succede più di quanto si pensi che giovanissime donne pakistane, indiane, partano dal loro Subcontinente sommerso verso Paesi “ricchi” in cerca di lavoro così da raggranellare qualche dollaro da spedire a casa: peccato che da lì non facciano più ritorno. Spesso, stremate dai soprusi e da una vita ingrata senza la previsione della possibilità di un ritorno ai lidi patrii, costoro decidono di ammazzarsi proprio nella casa della donna che l’ha fatta prigioniera.

Anche questo è femminicidio. Questa volta, però, una donna kenyana costretta a lavorare come domestica 16 ore al giorno, sette giorni alla settimana, per appena 220 dollari al mese, è riuscita a liberarsi dalla sua aguzzina.

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