Alle 8.35 del 27 marzo 1995 Maurizio Gucci, 46 anni, erede dell’omonimo marchio famoso in tutto il mondo, viene ucciso a colpi di pistola da un killer misterioso mentre sta entrando nella sede di una delle sue società a Milano, in via Palestro 20. Nell’agguato viene ferito anche Giuseppe Onorato, il portiere dello stabile. Il killer fugge a bordo di un’utilitaria guidata da un complice. Maurizio Gucci era padre di due figlie avute da Patrizia Reggiani, dalla quale si era poi separato, e ora viveva e progettava il futuro con la nuova compagna, Paola Franchi.

Da subito si fa strada l’idea che intorno a questo omicidio ci siano scenari internazionali e finanziari, legati alle attività di Maurizio Gucci e al cospicuo giro di soldi che le caratterizzava. Per un paio di anni si seguono svariate piste, senza che nessuna porti a risultati concreti.

La svolta si ha nel gennaio del 1997, quando grazie a una fonte confidenziale gli inquirenti imboccano la strada giusta, ossia quella dell’omicidio maturato in ambito familiare.

Il 31 gennaio 1997 vengono arrestati Ivano Savioni e la maga Pina Auriemma con l’accusa di essere gli organizzatori dell’omicidio, Benedetto Ceraulo e Orazio Cicala, indicati rispettivamente come l’autista e il killer, e Patrizia Reggiani, ex moglie di Maurizio Gucci e mandante dell’omicidio.

Secondo l’accusa la Reggiani avrebbe offerto un totale di 600 milioni delle vecchie lire per eliminare il suo ex marito, che a suo dire trascurava lei e le figlie sia dal punto di vista economico che da quello affettivo a causa della relazione con Paola Franchi. C’è chi sostiene però che la Reggiani fosse letteralmente ossessionata dall’idea di perdere il suo staus di “signora Gucci” dal momento che Maurizio e Paola Franchi stavano ormai progettando le nozze nell’immediato futuro.

Sarebbe stata dunque questa la vera ragione alla base della decisione di far eliminare l’ormai ex marito.

Patrizia Reggiani si difenderà dicendo di aver sì espresso alla maga e amica Pina Auriemma il desiderio di vedere l’ex marito morto, ma di essere stata messa di fronte al fatto compiuto senza la sua effettiva volontà. Tenterà anche la carta dell’infermità mentale, in virtù di un’operazione fatta nel 1992 per un tumore al cervello, ma verrà dichiarata completamente capace di intendere e volere e condannata in via definitiva a 26 anni di carcere.

 

Roberta BRUZZONE – criminologa e psicologa forense Presidente dell’Accademia Scienze Forensi