Argomento di assoluta attualità, che sta riscuotendo consensi in tutti gli ambiti, anche quelli più glamour, è la salvaguardia e il rispetto per l’ambiente.
A riprova di ciò, è l’uscita di un libro, dal titolo assai eloquente, “Il bello e il buono. Le ragioni della moda sostenibile.”, a cura di Maria Luisa Frisa e Marco Ricchetti.

Il tema affrontato, nonostante susciti la reazione dei più, a livello di consumatori e addetti ai lavori, risulta spinoso e quanto mai urgente.
Non è così ovvio, infatti, che le grandi distribuzioni siano tutte votate all’eco-sostenibilità e all’impatto zero che i loro prodotti dovrebbero avere sull’ambiente, soprattutto per quanto riguarda il settore della moda. Più votato ad osservare ed accontentare le esigenze del cliente, ha in questi anni trascurato altri aspetti, come l’utilizzo di materie prime non solo “eco-friendly” ma anche di provenienza certificata.

A questo proposito, si fa riferimento al famoso marchio Pura Lana Vergine, caratteristica dalla quale, un tempo, sembrava non si dovesse prescindere, ed ora in alcuni casi abbandonato in nome del risparmio e della proposta sul mercato di capi a buon mercato, ma scadenti.

A differenza del settore alimentare, dove la provenienza del tal prodotto è pretesa dal consumatore, e quindi segnalata a norma di legge, l’ambito della moda sembra non avere la stessa chiarezza nel certificare provenienza e qualità dei materiali, o comunque, chi lo fa non è certamente la maggioranza. Pitti Immagine è sicuramente tra questi, dal momento che ha voluto promuovere questo libro organizzandone la presentazione, dimostrando così che la moda, oltre che bella, deve necessariamente essere buona.

Aprendo il libro, una delle prime pagine che si incontrano riporta uno schema, semplice ed esauriente, che descrive ciò che la singola impresa dovrebbe fare per evitare il riscaldamento globale:
– a livello di produzione, utilizzare materie prime presenti sul territorio locale e coloranti a basso impatto ambientale;
– a livello commerciale, invece, oltre ad una pubblicità sostenibile, la promozione del Vintage in tutte le sue sfaccettature, compresa quella del riciclo.

Questi accorgimenti possono portare il consumatore a riflettere su un consumo responsabile, lontano dal “mordi e fuggi” che a volte contraddistingue lo shopping compulsivo. Non fast, perciò, ma slow, termine che abbraccia non solo il fashion ma anche il design.

Il volume prosegue poi con una serie di interviste a persone altamente qualificate, come Robert Edward Freeman, autore di più di venti volumi nell’area dello stakeholder management, delle strategie d’impresa e dell’etica degli affari; Francesco Morace, sociologo, scrittore e giornalista, lavora da oltre vent’anni nell’ambito della ricerca sociale e di mercato; Nicole Notat, Presidente di Vigeo, società leader in Europa nell’analisi e nel rating basato su indicatori extra finanziari, che analizza le performance delle imprese nel campo dello sviluppo sostenibile; Marco Ricchetti, che dal 1989 si occupa dell’evoluzione delle imprese del Made in Italy e delle relazioni tra produzione industriale e creativa nella moda e nel design.

Si tratta di addetti ai lavori che sono in grado di illustrare uno scenario estremamente veritiero dell’impresa mondiale, sicuramente un argomento da addetti ai lavori ma in grado di attirare l’attenzione di noi consumatori. In quale modo? Semplicemente sensibilizzandoci nei confronti di un approccio a ciò che ci accingiamo ad acquistare che sia più consapevole, educandoci a pretendere che ciò che comperiamo sia certificato e insegnandoci a pretendere qualità e serietà da chi vende i suoi prodotti.

E vi sembra cosa da poco?

Vera Moretti