Molti sono convinti che se due giovani abbiano un credo religioso diverso per loro sia impossibile unirsi in matrimonio secondo il rito cattolico. Ma non è affatto così. Per fugare ogni dubbio ho personalmente chiesto a un giovane sacerdote della Diocesi di Milano di spiegarmi come funzionano i cosiddetti matrimoni misti.

Innanzitutto, sappiate che si parla di matrimonio misto, quando uno dei due sposi è cristiano cattolico (ha ricevuto per tanto i sacramenti) mentre l’altro è di religione diversa o è addirittura ateo. Una coppia di giovani che vuole sposarsi in Chiesa dovrà rivolgersi alla parrocchia di riferimento che curerà la trafila burocratica. In caso di matrimonio misto infatti è necessaria una licenza del Vescovo della propria Diocesi.

Di fatto, per essere più chiari, la coppia di sposi si presenta nella propria parrocchia dove dovrà dare il famoso consenso con il sacerdote, questi valuterà se le motivazioni che spingono i giovani al matrimonio sono idonee per la Chiesa cattolica e una volta dato loro il benestare, il prete stesso è tenuto a scrivere al Vescovo della propria Diocesi, chiedendo il placet. Il matrimonio può essere di fatto celebrato in Chiesa solo con il sì della Curia e almeno tre mesi dopo il consenso.

Durante il consenso gli sposi di fede differente, sono tenuti a sottoscrivere una promessa, quella per cui i figli che nasceranno dalla loro unione dovranno essere cresciuti secondo i precetti della religione cristiana. Questa è una sorta di clausola che il coniuge ateo o di religione diversa deve accettare.

Inoltre, il famoso corso fidanzati è obbligatorio per lo sposo/a di fede cattolica, non lo è invece per il compagno o la compagna di altro credo. Altra differenza rispetto a un “tradizionale” matrimonio sta nella celebrazione della Messa, dove avviene la lettura delle Sacre Scritture, il rito canonico – per capirci, le formule “vuoi tu… prendere come tua sposa ecc” – ma non viene celebrata l’Eucarestia, a meno che lo sposo o la sposa cristiani non la richiedano espressamente per se stessi.

Francesca RIGGIO

 

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