Violenza sulle donne. Omicidi efferati su giovani e signore nel fiore degli anni. Donne colpevoli e criminali che si sono macchiate di crimini incredibili. Il noir italiano è ricco di queste storie in cui spesso le donne sono protagoniste. Ognuna di noi si interroga sulla verità e sul nome del colpevole, e siamo soprattutto noi del gentil sesso a farlo con viva passione e interesse sempre crescente. “Una di noi” ha fatto di questa ricerca la sua ragione di vita oltre che la sua professione.  E’ Roberta Bruzzone, criminologa ed esperta che ci siamo appassionati a seguire in Tv. Noi l’abbiamo intervistata.

Dottoressa Bruzzone, lei ritiene che le donne siano più vittime o più carnefici?
Le donne sono sicuramente più vittime: le statistiche internazionali ci dicono che solo circa nel 10% dei casi complessivi le donne sono colpevoli di crimini violenti.

Qual è l’approccio di una donna come lei verso un lavoro duro come il suo?
Nè più nè meno l’approccio che potrebbe avere un uomo: è un atteggiamento serio, che ti porta di continuo a studiare, ad aggiornarti sui casi, ad approfondire ogni aspetto nella ricerca della verità. Non ritengo ci siano differenze “di genere”. Ci sono buoni professionisti e pessimi professionisti, ma questo vale per gli uomini così come per le donne.

Da professionista, qual è il suo punto di vista sul comportamento dei media nei confronti dei grandi casi di cronaca: è meglio un battage come è avvenuto per il delitto di Avetrana, oppure il silenzio stampa scelto per il caso di Yara Gambirasio?
A livello investigativo è decisamente preferibile il silenzio stampa, soprattutto per evitare la fuga di notizie durante la delicatissima fase delle indagini preliminari che sono quelle più importanti e decisive.

Perché il tema della violenza sulle donne piace così tanto all’opinione pubblica ed è così seguito, in particolare in Tv e in prevalenza da un pubblico femminile?
Perché si tratta di un campo che inquieta e che attira. L’interesse nasce per quelle storie dotate di elementi dal forte carattere identificativo e nelle quali è più facile proiettarsi. Non a caso le  vittime dei maggiori casi di cronaca sono donne dalle storie assolutamente nella norma. Ragazzine nel fiore degli anni, mamme di famiglia, impiegate, signore dalla vita regolare e senza ombre particolari. Insomma, nella maggior parte dei casi si tratta di persone terribilmente simili alla stragrande maggioranza di noi. Le tipologie delle vittime che salgono agli onori della cronaca e della ribalta mediatica hanno vite semplici e storie sovrapponibili alle nostre, perciò noi  tutti siamo attirati dalla ricerca della verità per quelle donne che potrebbero essere le nostre amiche,  le nostre sorelle, le nostre figlie o addirittura noi stesse. Il forte interesse nasce dunque da un grande potere identificativo: è per questo che il caso di omicidio in cui ad essere assassinata è una prostituta non riscuote generalmente un grande interesse mediatico. Questa categoria vittimologica nell’immaginario collettivo viene considerata “ad alto rischio” ed e’ quindi quasi “scontato”, per la maggior parte delle persone, che possa accadere qualcosa di brutto a questo tipo di vittime rispetto a ciò che ci si aspetta possa accadere ad una solare ragazzina quindicenne che vive la sua prima “cotta” o ad una giovane donna, mamma di una bambina di pochi mesi, colpevole di aver scelto di amare l’uomo sbagliato, come tante altre.

Nella sua esperienza, perché le donne che uccidono lo fanno in maniera più fredda e feroce?
Non sono solo le donne. Nella stragrande maggioranza dei casi freddo e crudele è l’omicidio in sé e per sé, perché nella maggior parte dei casi le persone scelgono lucidamente di uccidere, e a quel punto non è poi così importante che ciò avvenga in una determinata maniera piuttosto che in un’altra. C’è chi sceglie un modo più “espressivo” e violento, e chi opta per un modo più subdolo, magari attraverso l’avvelenamento. E’ difficile generalizzare in questo campo. Ma ogni assassino è diverso per caratteristiche di personalità e in funzione della vittima che ha scelto. 

Infine, quale caso non avrebbe voluto mai seguire e su quale avrebbe voluto dare il suo contributo?
Il caso che non avrei voluto seguire … beh, nessuno in particolare perché ciascuno ha il suo perché, si tratta sempre di grandi occasioni di crescita professionale e di ricerca della verità, perciò non mi tiro mai indietro. Quello che invece avrei voluto approfondire è l’omicidio di Luciana Biggi, per cui è stato processato e assolto Luca Delfino (già condannato per l’omicidio di Maria Antonietta Multari) a Genova.  Purtroppo la Procura di Genova non farà appello e quindi il caso rimarrà per sempre senza un movente ed un colpevole.

A dire il vero di casi ce ne sono tanti e molto interessanti, anche fra quelli di cui ho studiato gli atti di recente, ad esempio quello di Serena Mollicone avvenuto 10 anni fa ad ad Arce ed ancora irrisolto e di Nada Cella avvenuto a Chiavari nel 1996, ma quello di Luciana Biggi ha un peso diverso perché credo che si sarebbe potuto fare qualcosa di più a livello investigativo e giudiziario. Ad ogni modo, la serie di crimini che si verifica è davvero numerosa, e purtroppo non è possibile affrontare ogni caso perché il lavoro è già tantissimo. Quello che conta davvero è fare del proprio meglio ogni volta che arriva un incarico.

Paola PERFETTI