un percorso artistico unico per l’Italia, perchè, sul finire degli anni ’50, ha iniziato ad avere successo in Inghilterra. “Nessuno si prende la briga di ricordare la mia storia e pensare alle difficoltà che ho superato. A 16 anni sono andato a Londra senza una lira e senza sapere una parola di inglese a misurarmi con gente come Cliff Richard. Prendevo il treno a carbone e andavo a Manchester da dove andava in onda il programma ‘Boys Meet Girls’ che ha fatto la storia del rock in Tv. L’anno dopo il programma si intitolava ‘Wham!’, è da qui che George Michael ha preso il nome della sua prima band, e io ero ospite fisso. Uno degli autori di Elvis scrisse per me ‘Too Good’, che arrivò nella top 20 inglese nel 1959. Tornai in Italia senza una lira, con i jeans, il giubbotto di pelle da Teddy Boys alla Marlon Brando, gli occhiali da sole e volevo solo cantare in inglese. A Milano avevamo firmato un contratto con la Durium: avevamo fame, dormivamo in una pensione da 300 lire a notte e mangiavamo in un’osteria a 150 lire. Mi dissero che se volevo cantare in inglese avrebbero stracciato il contratto. Quelli della band (tra cui il fratello Enrico, chitarrista storico, tra l’altro delle colonne sonore di Ennio Morricone) mi convinsero ad accettare di cantare in italiano”, raccontava il cantante.

Un precursore, dunque: “Certo – aggiunse -. Se non ci fossero stati due carbonari, uno al Nord di origine pugliese che si chiama Adriano Celentano, e uno al centro Sud nato a Tivoli, che si chiama Little Tony, oggi non ci sarebbero Vasco Rossi e compagni”.

La sua ultima apparizione a Sanremo è del 2008 con il brano autobiografico ‘Non finisce qui’ che segnava il suo ritorno in scena dopo l’infarto. ”Il ricordo più bello di quella canzone – ricordò – è legato al fatto che la prima a telefonarmi è stata Mina che è stata anche la prima a chiamarmi quando ero in ospedale a Ottawa. Ci conosciamo da quando abbiamo 18 anni: ai tempi di Studio Uno a Roma abitavamo sullo stesso pianerottolo”.

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