Nonostante siano molti i puristi del caffè di cui l’Italia è patria indiscussa storcano il naso Starbucks sta invadendo l’Italia, almeno nelle grandi città, ed è un successo di pubblico.

Cerchiamo di capire che cosa sta dietro alla grande catena americana partendo dalla sua storia.

Fondata a Seattle, anche patria del colosso Amazon,  nel 1971 da un insegnante d’inglese Jerry Baldwin, uno di storia Zev Siegl e lo scrittore Gordon Bowker. tutti affascinati dalla tostatura del caffè, , oggi Starbucks è la più grande catena al mondo con oltre 28 mila punti vendita.

Dopo un lungo studio sull’efficacia del nome, scelsero Starbucks, il primo ufficiale quacchero di “Moby Dick”, secondo alcune fonti, mentre secondo altre, uno dei tre soci parlando con un amico pubblicitario gli aveva riferito che le le parole che iniziano con “st” risultano particolarmente potenti ed efficaci.

Inizialmente si vendevano solamente i chicchi di caffè tostati, come  una normalissima torrefazione  poi avvenne l trasformazione in caffetteria.

Nel 1987 i tre proprietari decisero di vendere la catena all’ex manager Howard Schultz, che portandola fuori dai confini di Seattle la rese il successo che è oggi.

Il logo è ormai iconico, riconoscibile ovunque benché imitato: bianco e verde rappresenta una sirena a due code che, sebbene sia stato più volte modificato, non ha mai perso la propria identità e riconoscibilità.

Nel corso degli anni la catena si è impegnata molto a livello socio culturale promuovendo varie iniziative di stampo ecologico: dal riciclo della carta fino alla sensibilizzazione sugli sprechi. Dal 1999 regalano i fondi di caffè a chiunque li desideri utilizzare per il compost del proprio orto casalingo.

Con la catena di coffeehouse Schultz è stato in grado di far conoscere agli americani il mondo del caffè e a rafforzare un nuovo modo di vederlo e di viverlo: il take away, ossia andare in giro con il bicchierone brandizzato e con su scritto il proprio nome, sentendosi speciali rispetto a tutti gli altri.

I numeri di Starbucks

“Se si considerano tutte le nostre bevande principali e le si moltiplica per le possibili personalizzazioni per ciascun prodotto, si ottengono oltre 87 mila combinazioni”

Nel ventennio compreso tra il 1987 e il 2007, l’azienda, in media, ha visto l’apertura di due nuovi store ogni giorno. Ogni anno Starbucks vende 4 miliardi di tazze di caffè.

SI rispetta in ogni punto vendita una rigida regola temporale: ogni negozio apre 10 minuti prima dell’orario ufficiale e chiude 10 minuti dopo.

L’azienda si fa carico delle spese mediche di tutti i dipendenti che lavorano almeno 20 ore a settimana. Un impegno di oltre 300 milioni l’anno, che ha spinto il CdA più di una volta a chiedere a Schultz di tagliare i costi. Un tema sul quale lui rifiuta ogni tipo di compromesso.

Esistono un paio di caffetterie anonime o come si dice in America  “unbranded” servono a  a testare nuove idee senza che i clienti vengano influenzati dal brand.

Curiosità

Nell’estremità superiore della parte interna di ogni grembiule – rigorosamente verde – è cucita una fettuccina di tessuto nero che recita: “We create inspired moments in each customer’s day” seguito da quattro potenti verbi all’infinito, in maiuscolo: “anticipate connect personalize own”.

I grembiuli non sono tutti uguali: c’è quello nero per chi ha ottenuto la certificazione di “coffee master”, quello personalizzato con scritta e bandiera per chi ha svolto il servizio militare, quello su cui è ricamata la parola Starbucks scritta con il linguaggio dei segni per i baristi non udenti.