Non che fosse la prima volta a Cannes, ma incontrando Valentina Carnelutti hai l’impressione che quest’anno se la sia proprio goduta (“Da invitata le porte si spalancano, le sale, gli alberghi, i ristoranti… Altrimenti è come la fabbrica di cioccolato per Charlie prima che vincesse il biglietto!”). Sarà stata la maturità artistica o forse l’essere presente con più di una pellicola, ma l’attrice che è riuscita a stregare Marco Tullio Giordana prima e Theo Angelopoulos poi si è presentata sulla Croisette (“A me che ha fatto sempre paura”) con la raffinatezza e l’eleganza che hanno contraddistinto i suoi due primi decenni di carriera.

Ti aspettavi un’accoglienza cosí trionfale per il film?

Non ho fatto previsioni. E avevo visto il film in una versione precedente… Sono stata sorpresa: mi è piaciuto, mi sono divertita, emozionata e commossa perfino. E guardare un film al cinema in una sala piena di persone che poco a poco cominciano a respirare all’unisono, a ridere insieme e poi a commuoversi è un lusso impagabile! Questo il vero trionfo. Il cinema è un’esperienza collettiva, i film sono da vedere in sala, insieme.

Nel film si ride, si sorride e ci si commuove. È un dramma velato di ironia, un on the road atipico. Cosa pensi abbia colpito il pubblico e la critica?

Mi pare che la cosa più evidente sia la capacità de La pazza gioia di sfumare il confine tra pazzia e normalità, di restituire agli spettatori qualcosa che credo ciascuno di noi tiene a bada nella vita quotidiana. Attraverso queste donne, Beatrice e Donatella per prime, ma anche tutte le altre ospiti della comunità, la psichiatra e le madri, Paolo svela un’essenza dove non c’è giudizio, dove si può soffrire e ridere insieme, una nudità ferita che non teme di svelarsi, che sbaglia eppure non smette di vivere e, proprio perché viva, emoziona e commuove.

Il tuo personaggio si approccia ai pazienti in modo umano, permette alle due donne di uscire e si rifiuta in un primo momento di denunciarne la scomparsa. Come ti sei preparata a questo ruolo?

Mi sono fidata di Paolo che sembrava avere le idee molto chiare dal principio ed è un lusso mettersi nelle mani di un regista e lasciarsi indicare una strada. Ho messo a disposizione un modo di essere che mi appartiene, che è quello di ascoltare, di osservare la libertà degli altri prima di volerla indirizzare. E soprattutto ho ascoltato e reagito a quel che avevo intorno, a quello che intorno a me si andava costruendo.

Valeria/Beatrice era scatenata, Io/Fiamma non potevo far altro che alternare il bisogno di arginarla per fare il mio mestiere di attrice/psichiatra e il gusto di lasciarla vivere. Non credo ci sia recitazione senza ascolto.

Il cambiamento fisico è stato anche un aiuto, non era la prima volta che Paolo mi chiedeva di trasformarmi ed è una fortuna: diventare altro da chi si è, inevitabilmente portando qualcosa di sé. In Tutta la vita davanti ero una poveraccia ignorante e frustrata che anelava a una libertà fittizia e tutta quella bigiotteria pacchiana, quel trucco, quegli abiti mi avevano aiutata a identificarmi… Qui il fucsia dei capelli, l’assenza quasi di trucco, il fisico agile e pronto a darsi e a scattare sono stati un trampolino per ridurre la distanza tra medico e paziente, tra attrice e personaggio, tra film e spettatore.

Il film narra la ricerca della felicità, non cade nella tentazione del pietismo ma colpisce sotto la cintola dell’emotività. Un film al femminile, scritto a quattro mani dal regista con la Archibugi, con interpreti e ruoli da ricordare.

Mi auguro che ci siano sempre più film capaci di raccontare le donne con coraggio, senza spaventarsi di fronte alla nostra peculiarità, di fronte alla difficoltà di incasellarci. Questo film è la punta di un iceberg che mi auguro si scopra sempre più. Lo spero per le attrici che sognano di non interpretare più soltanto le madri, le mogli e le infermiere e per le donne che godono nel guardarsi ritratte in maniera più autentica e specifica e lo spero anche per gli uomini che devono essere stufi anche loro di vedere riproposti sempre gli stessi modelli femminili!

Quando si raccontano persone e non clichés è naturale toccare il cuore, la vita è emozionante di per sé, ci vuole il coraggio di starci dentro.

 

Jacopo MARCHESANO