La crisi economica è un male che sta colpendo non solo l’Italia, e questo lo sappiamo, ma le conseguenze si fanno pesantemente sentire soprattutto nelle categorie definite più a rischio: sono le donne e i giovani, che, spesso, sono costretti ad accettare un contratto part time o, peggio, vedono le ore di lavoro, inizialmente a tempo pieno, assottigliarsi sempre più.

E’ ciò che emerge da una ricerca condotta da Workmonitor Randstad, che ha analizzato il mercato del lavoro in una trentina di nazioni durante il terzo trimestre del 2011.

La questione, spinosa, dei contratti part time, salta subito all’occhio e infatti i dipendenti che devono accontentarsi di lavorare mezza giornata sono aumentati dell’11% dal 2007 ad oggi.

Ma vediamo più da vicino com’è la situazione.

In Italia il 49% degli interpellati ha ammesso di essere stato obbligato ad accettare il part time, perché non venivano loro offerte alternative. In Grecia la percentuale aumenta addirittura del 69%.

Per il 50% degli intervistati in Italia, Belgio, Lussemburgo, Danimarca e Svezia lavorare mezza giornata rappresenta un freno alla carriera, mentre in Turchia, Giappone e Repubblica Ceca la pensa così sono un terzo.

Ma a chi viene proposto questo tipo di soluzione lavorativa? In Italia non si sbaglia: sono sempre le donne, penalizzate nel 29% dei casi, e i giovani tra i 15 e i 24, che rappresentano il 24%. La mancanza di flessibilità da parte dei datori di lavoro riguardo al part time non è propria solo degli italiani, ma si nota soprattutto in Germania, 62%, e Regno Unito, 69%.

Mal comune, mezzo gaudio? A dir la verità, non c’è molto di cui rallegrarsi, se, come è ovvio, lavorare poche ore al giorno non permette di ambire a posizioni dirigenziali, in Italia, 61%, in Francia, 75%, e Stati Uniti, 73%. A pensarla diversamente sono solo i Giapponesi, convinti nel 72% dei casi che non ci sia relazione tra part time e ostacolo alla crescita professionale.

La presenza femminile ai vertici delle aziende è ancora esigua, se si pensa che ben il 74% degli Italiani sostiene di avere un uomo come diretto superiore.

L’incidenza maschile nella catena di comando a livello mondiale è del 70%, con picchi dell’83% in Giappone e dell’80% in Turchia. Mentre in Cina e India, Lussemburgo, Svizzera e Argentina si aggira attorno al 75%.

I Paesi che presentano un tasso più bilanciato nei posti di potere tra uomini e donne sono, invece, Nuova Zelanda e Paesi Nordici, Ungheria e Cile, Canada e Stati Uniti.

C’è poco da sorridere…

Vera Moretti