Con immodestia dico che se non ci fossero stati Armani, Versace e Ferré, non ci sarebbero stati né Prada né Gucci”. Leggiamo queste parole di Gianfranco Ferré e ci viene subito in mente quella foto che abbiamo visto circolare qualche tempo fa sui social, che ritraeva Mario Valentino, Gianni Versace, Krizia, Paola Fendi, Valentino Garavani, Mila Shon, Giorgio Armani, Ottavio Missoni, Franco Moschino, Luciano Soprani e, appunto, Gianfranco Ferré.

L’architetto della moda

In una Milano degli Anni ’80, con il Duomo alle spalle, troviamo il Gotha dei designer che hanno reso grande il nome dell’Italia nel mondo, scrivendo pagine di storia della moda, in un’epoca senza influencer, ma florida e rigogliosa di idee e creatività. Alcuni di loro sono riusciti a tenere saldo il loro posto nell’olimpo, di altri di loro, invece, non si parla mai abbastanza. A Gianfranco Ferré, l’architetto della moda, ad esempio, dovremmo tutti rendere sempre onore e omaggio.

Gianfranco Ferré, un’eleganza senza ostentazioni

Tra i più grandi stilisti del Made in Italy, Gianfranco Ferré si avvicina al mondo della moda a partire dagli accessori, collaborando con Walter Albini e Christiane Baillyi. Portavoce di un’eleganza senza ostentazioni, fautore di una moda alla portata di tutti e inclusiva, Ferré ha dato un contributo molto importante alla moda italiana. Tanto che le sue collezioni, che si muovono tra geometria e poesia, rimangono iconiche ancora oggi.

La camicia, il suo feticcio

La laurea in architettura, conseguita prima dell’esordio nella moda, lo porteranno a concepire ogni capo come fosse un vero progetto. Soprattutto la camicia, suo capo feticcio, tratto distintivo del suo stile, pezzo essenziale del guardaroba femminile, da rivisitare e rielaborare infinite volte. Per Ferré la camicia non era un semplice capo d’abbigliamento, ma un vero pezzo di design.

Gianfranco Ferré, citazioni sulla vita e sulla moda

E oggi vogliamo celebrarlo e ricordarlo con voi con alcune delle sue frasi più rappresentative della sua poetica.

“Un abito è sensualità quando si muove legato al corpo. È ostentazione quando di copre e ti abbaglia. È rumore, fruscìo. Un abito silenzioso è un abito nullo, inutile”.

“Le modelle devono essere degli ottimi attaccapanni con un corpo e una testa vibrante. Devono saper muovere le spalle e muoversi nell’abito. Ho imparato molto a Parigi: l’abito non deve mai esser attaccato al corpo. Deve scivolare”.

“Un abito è sensualità quando si muove legato col corpo. È ostentazione quando ti copre e ti abbaglia. È emozione. È rumore, fruscìo. Un abito silenzioso è un abito nullo, inutile”.

“Io amo la privacy. La gente conosciuta viene da Ferré perché è amica mia. Non per essere alla sfilata di Ferré”.

“Di solito il modo di vestire appartiene al senso di dignità che l’individuo ha di se stesso”.

“Ogni colore ha un suo significato. Non userei mai il blu, che è un colore denso e prezioso, per un vestito che appartenesse alla cultura dell’usa e getta. Il fucsia mi ricorda l’India, il giallo l’opulenza dell’Oriente, i pastello la grandiosità della cultura mitteleuropea”.

“Vedere un mio vestito che copre diverse superfici con diverse facce e diverse anime e vive nel tempo perché spesso è ancora bello e la gente lo sa utilizzare, è una grossa soddisfazione. Non mi fa certo sentire un architetto mancato”.

“I poveri devono vestire per piacersi, per sognare. Come i ricchi. Devono avere un po’ di fantasia”.

“Sono narcisista perché ho un senso innato del piacere della qualità”.

“Parigi ha l’eleganza delle armonie e della grandeur, Londra ha l’eleganza della classe e del prestigio, Roma ha l’eleganza dell’umanità e della storia. Ogni città ha la sua eleganza. Anche Milano: ha l’eleganza della sobrietà, della discrezione, della solidità”.

P.P.

(Credit ph. @lindaevangelistafan_)