Sul colore rosa è stato detto tutto e il contrario di tutto. È stato detto che è un colore da femminucce, nel più stereotipato concetto che si possa dare al termine. È stato detto che è un colore frivolo, lezioso, troppo romantico, troppo stucchevole. È stato detto che un uomo, in quanto maschio virile e alfa, mai dovrebbe vestirsi di rosa. In un mondo in cui – reduci da lotte femministe, convinte sostenitrici della filosofia de Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, e spaventate da quei luoghi comuni legati al mondo femminile – si insegna alle bambine a considerare il rosa un demone, il The Museum at FIT di New York ci dà una lezione sul valore effimero dei pregiudizi, dedicando un’intera retrospettiva proprio a questa nuance.

Pink: The History of a Punk, Pretty, Powerful Color – questo il nome dell’esposizione, curata da Dr. Valerie Steele, direttrice del museo -, attraverso un percorso diviso in due sezioni (cronologico e tematico), che indaga l’evoluzione del simbolismo del rosa nel corso degli ultimi tre secoli ci invita a scardinare gli stereotipi, invogliandoci ad un viaggio storico e sociale che ne analizza la valenza a 360° nel mondo dell’abbigliamento, degli accessori, della musica e dell’arte, mostrandoci quanto detestare il rosa oggi non solo sia anacronistico, ma anche privo di qualunque fondamento.

La ferrea convinzione che ci vuole fare associare le donne al rosa e gli uomini al blu, ad esempio, è cosa abbastanza recente e risale per l’esattezza a quando se ne parlò per la prima volta nel 1868, all’interno del romanzo di Louise May AlcottPiccole Donne. Senza considerare che uomini e donne lo indossavano indistintamente fino agli Anni ’50, quando il marketing spinse a rafforzare l’idea di accomunare il rossa alle femmine e il blu ai maschi. In Giappone, nell’epoca Heian dell’VIII secolo, gli uomini delle corti erano soliti vestire di rosa, mentre in India è stato ed è ancora oggi colore amatissimo per la realizzazione di turbanti e abiti di seta maschili. Nel diciottesimo secolo, inoltre, in Francia, quando Madame de Pompadour lanciò la tendenza del rosa alla corte francese, era assolutamente appropriato per un uomo indossare un abito declinato in questa nuance.

Volendo poi riferirci alla moda, sono tali e tanti gli esempi di grandi designer che hanno contribuito a rendere questo colore intramontabile, a sfidare i luoghi comuni, caricandolo di nuovi significati, usandolo per creazioni che non fossero solo romantiche e lezioni, ma talvolta punk e rock, e altre volte ancora androgine ed essenziali. Nella retrospettiva curata dalla Steele, sono presenti ben ottanta creazioni (dal XVIII secolo a oggi), che ne raccontano la storia, le evoluzioni e le varie declinazioni. Opere di designer come Christian Dior, Elsa Schiaparelli (a lei dobbiamo la nascita del rosa shocking), Gucci di Alessandro Michele, Yves Saint Laurent, Prada, Comme des Garçons by Rei Kawakubo, Raf Simons per Jil Sander, solo per citarne alcuni nomi, riescono a farci comprendere a pieno l’animo plurisfaccetato di questa nuance.

E pensiamo poi alle icone della moda e del cinema che lo hanno indossato consacrandolo ai posteri: Jackie Kennedy e il tailleur Chanel che indossava il giorno della morte del marito John Fitzgerald Kennedy, e poi ancora Lady Diana, Grace Kelly, Lady Gaga e Gwyneth Paltrow in Prada sul red carpet di Venezia del 2011. E pensiamo poi a canzoni come La Vie en Rose di Edith Piaf, a Steven Tyler che canta a squarciagola “Pink it’s my new obsession”, a Picasso e al suo periodo rosa, o a Richard Wagner che adorava le vestaglie di raso in questa nuance.

Insomma, siamo certi che Pink: The History of a Punk, Pretty, Powerful Color riuscirà a fare ricredere anche i più scettici. Se vi abbiamo incuriosito anche solo un po’ e vi trovate dalle parti di New York, andate a visitarla. Sarà aperta fino al 5 gennaio 2019.

 

Pinella PETRONIO

 

Pinella PETRONIO