Per chi non ne fosse al corrente, le palme sono state l’ingresso di Starbucks a Milano, una sorta di cavallo di Troia secondo alcuni.  L’amministratore delegato della catena  Howard Schultz h semplicemente spiegato: “Quando entriamo in una città nuova, soprattutto in una interessante e dinamica come Milano, vogliamo dare subito qualcosa alla comunità. Lo facciamo prima di aprire la caffetteria, è una sorta di captatio benevolentiae e anche per questo la reazione ci ha stupiti così tanto” 

C’è da dire, a discolpa di Starbucks, che loro sono stati puri e semplici sponsor, il giardino non l’hanno progettato da Seattle, ma è frutto di architetti milanesi che, forse avrebbero potuto fare di meglio.

Insomma l’approdo in Italia della “roastery” (torrefazione) più famosa del mondo ha dato il via a una estenuante, se si pensa che il taglio del nastro avverrà solo alla fine del 2018, polemica che ha coinvolto persino i nomi più blasonati del giornalismo italiano.

Un esempio?  Aldo Cazzullo dalla sua colonna sul Corriere della Sera ha lanciato un anatema “(…) l’apertura in Italia di Starbucks come italiano la considero un’umiliazione. Perché Starbucks è il più clamoroso esempio al mondo di Italian Sounding: di prodotti che suonano italiani, ma non lo sono. In tutto il pianeta, a cominciare dalla casa madre americana, il menu è scritto in italiano, dall’espresso al cappuccino. Ma non è caffè italiano, non è lavoro italiano. Sui pacchi in vendita c’è scritto “Caffè Verona”, e in piccolo si precisa: “Made in Seattle”. I veri produttori italiani, da Illy a Lavazza, hanno tentato di rispondere aprendo le loro catene; hanno ottenuto qualche successo, ma non hanno le dimensioni per competere.”

Ora noi ci chiediamo: davvero nel 2017 fa ancora notizia l’apertura in Italia di uno store internazionale? Davvero è necessario fare dell’ostruzionismo sterile per difendere la nostra tradizione? Non sarà forse più possibile prepararsi una tazza di caffè con la vecchia Bialetti? Dobbiamo accusare, allora, anche il caffè in cialde che le grandi aziende italiane come Lavazza ed Illy di mancanza di rispetto verso la  cara vecchia moka? Noi non crediamo proprio. Chi desidera il caffè della moka è liberissimo di prepararselo anzi, sono sempre di più le trattorie che a fine pasto la propongono come scelta.

Ed ancora, ha più importanza la tradizione del caffè rispetto alla pizza o ad un piatto di spaghetti? Perché nessuno o almeno, non in maniera così accorata, ha lanciato i propri strali quando Mc Donald o Kentucky Fried Chicken, per citare due famose catene internazionali di fast food, ha messo un piede in Italia?  Per non parlare dei Sushi train, dei locali di Kebap e delle rosticcerie cinesi: tutti sdoganati in nome dell’integrazione razziale.  E perché non il caffè?

Tra i molti delatori della catena di Seattle ci sono i puristi del caffè, quelli che dichiarano terribile la qualità offerta da Starbucks: “Un orrido beverone” o “Brodaglia insapore“, ma  non è forse  un po’ antidemocratico e un tantino supponente ritenere buono e di qualità solo quello che il proprio palato apprezza?

Per l’apertura dovremo ancora attendere parecchi mesi e, sicuramente, altrettante polemiche, nel frattempo una strategia, vincente sotto tutti i punti di vista, è scegliere di andarci solo se ci va, esattamente come in tutti gli altri esercizi commerciali aperti o di prossima apertura.

Silvia GALLI

photocourtesy Brandeating.com

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