Ascolta il suo messaggio, e dimmi se riesci a capire se mi dà buca come ragazza o come amica”. Era una delle primissime puntate di Sex and The city. Sono passati vent’anni – intendiamo dire vent’anni esatti – da quando Carrie Bradshaw chiedeva soccorso a Miranda per capire in qualità di cosa Mr. Big l’avesse scaricata, e niente è cambiato. La comunicazione nel frattempo si è evoluta, non abbiamo più il telefono fisso con annessa segreteria telefonica ma usiamo lo smartphone. Abbiamo smesso di chiedere all’oracolo di Delfi, ci destreggiamo tra social network vari ed eventuali. E ci facciamo sempre le stesse identiche paronie.

E mentre cerchiamo di interpretare gli status di Facebook – per la verità sempre più rari -, i link delle canzoni sulle stories e il numero di cuoricini sui instagram, non possiamo fare ancora a meno di convocare concili ecumenici con le amiche – radunate a caso o in videoconferenza su Skype – per vagliare mille ipotesi, per inventare mille congetture, per sapere cosa ne pensano loro (le amiche) di quello specifico messaggio che lui ci ha inviato, di quelle parole che ci ha detto, per avere un’idea più precisa di quali sono le reali intenzioni dell’uomo con cui usciamo o con cui vorremmo uscire.

Mandiamo screenshot di chattate su whatsapp, di conversazioni su messenger, inoltriamo audio messaggi, cerchiamo aiuto, chiamiamo la NASA per scandagliare, per sviscerare che cosa si cela dietro un “Ciao, stasera non riesco, ci vediamo un’altra sera?”. Siamo sempre ancora qui a porci ancora le stesse domande. “Secondo te, che cosa voleva dire?” “Secondo te, cosa significa?” “Gli rispondo o non gli rispondo? E se gli rispondo, che cosa gli rispondo?”. “Gli scrivo o non gli scrivo?”. “È online, ma non mi risponde, secondo te, ha un’altra? Secondo te non mi vuole abbastanza?”. Cocciutamente rifiutando l’idea che magari quel messaggio significava propriamente quello che abbiamo letto, ovvero che quella sera non poteva e che avrebbe voluto rivederci un’altra volta. Che magari non risponde perché sta chattando con gli amici del Fantacalcio. Che magari l’interpretazione – per lo più a reti unificate – non serve.

O meglio, serve sì, a renderci sempre più paranoiche, folli e insicure, a mettere mano alla bozza di un film drammatico, che si svolge solo nella nostra testa. FIlm in cui ci trasformiamo – ma questo accade nella realtà – nella peggiore versione di noi stesse, in Belfagor in gonnella che manco nei giorni del preciclo. Non riusciamo ad accettare che – per quanto molti uomini nel frattempo abbiano, forse per osmosi, assunto tratti tipici di certi stereotipati comportamenti femminili – rimangono creature semplici e basiche.

Mangiano se hanno fame, bevono se hanno sete (non si costringono ad ingurgitare due litri di acqua al giorno come facciamo noi), e soprattutto scrivono esattamente quello che pensano. Senza ricami, senza ornamenti, senza volere intendere altro. Che gli uomini vengano da Marte e le donne vengano da Venere è una frase che ci piace ripetere ma che forse non abbiamo ancora fatto nostra a 360 gradi, che usiamo solo quando ci fa più comodo. Vi immaginate un uomo che manda all’amico lo screenshot di un vostro messaggio? O che si fa un volo pindarico su una vostra affermazione a cena e chiama l’amico su Skype per sapere che cosa ne pensa lui, se quello che abbiamo detto era davvero quello che volevamo dire? Ecco. Vi siete date una risposta da sole.

Forse, è giunto il momento in cui ci arrendiamo all’idea che in questo campo sono loro che hanno da insegnare a noi. Quando riusciremo ad apprendere l’arte della linearità di pensiero, ma soprattutto quando riusciremo a porre un limite alla nostra straordinaria fantasia interpretativa, vivremo più libere e serene, semplificando – forse – rapporti che oggi ci sembrano tanto complicati e invece sono chiari e lapalissiani.

 

Pinella PETRONIO