Che cosa dovremmo dire? Che anche quest’anno sta arrivando il 25 novembre 2018 che è il giorno dedicato dall’ONU alla violenza contro le donne. Cosa potrebbe servire a rendere questo giorno utile, confortante, rincuorante?

Una rivoluzione. Un cambiamento di mentalità, di prospettive, di diritti. Siamo invece bloccate dentro ad una materia oscura che ci appesantisce le gambe e non ci fa saltare via, ci prende alle braccia, troppo piene di pesi da sostenere, ci acceca e non ci permette di vedere la luce.

Violenza domestica, disuguaglianza nel mondo del lavoro, difficoltà economiche, mancanza di sostegno sociale, pregiudizi, sono tutti pugni ben assestati che continuiamo ad incassare, anno dopo anno. Siamo a terra in un combattimento che non conosce pause. Non c’è parola più brutta di femminicidio, forse olocausto e pedofilia riescono a vincere in questa guerra dei poveri.

Ci sono tante manifestazioni a cui partecipare, iniziative con cui essere solidali, marce, progetti, mostre e cose da fare per ricordare chi questa battaglia l’ha persa proprio questo 25 novembre. Rendiamoli momenti di condivisione, di empatia, di sostegno.

L’ha persa chi si è innamorata dell’uomo sbagliato, ha avuto fiducia in un familiare che si è rivelato il suo aguzzino, chi ha tenuto più alla vita dei figli che alla propria, chi non ha avuto la forza di reagire, chi è stata punita per essere stata nel posto sbagliato al momento sbagliato senza avere alcuna colpa.

Come si può parlare della violenza contro le donne nel 2018? Non di certo scrivendo di raptus di rabbia di uomini che compiono un tragico gesto. Ancora adesso qualche giornale definisce così degli omicidi da parte di uomini contro le donne. Dei raptus.

Come si può parlare della violenza contro le donne nel 2018 dicevamo? Applicando ciò che dice l’articolo 3 della nostra costituzioneTutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” ovvero uguaglianza sociale, la base della società civile.

Un’altra cosa possiamo fare, tutti i giorni, educare i figli, i nipoti con impegno e dedizione. Non facendo finta di non sentire e soprassedendo su quello che non è facile o è più facile sentirsi dire. Ci vuole impegno, non lasciare che l’ignoranza prenda ulteriormente piede, bisogna impegnarsi ad esserne repellenti a odiare l’ignoranza che è la malattia infettiva più pericolosa del mondo, contro le donne e contro tutti.

Non c’è un lieto fine, non c’è una morale, c’è solo una data che ogni anno ci ricorda la nostra sconfitta.

Martina ZANGHI’