Ci piace chi sa mettersi in gioco. Ci piace soprattutto chi ha contenuti. Chi è in grado di fare cose belle e curate nei dettagli senza rinunciare a determinati valori. Soprattutto quando in ballo c’è la sorte del nostro pianeta. Valentina e Liana Fiorenza, testa e cuore del marchio Narcysa, che produce piccoli accessori e abiti fatti a mano, hanno scelto di percorrere la via più difficile, ma che certamente ripaga di più. Pochette, borse da viaggio, cuscini, cappelli, abiti e mille altre meraviglie sono realizzati interamente a mano dalle due sorelle catanesi, che da una parte si occupano di diritto, dall’altra amano l’artigianalità, e la cui passione nasce da quando ancora piccole usavano la macchina da cucire Singer della nonna.

Barocca ed eccentrica Valentina, minimalista ed essenziale Liana, le due sorelle siciliane uniscono le loro anime antitetiche e complementari per dare vita a prodotti di straordinaria fattura, realizzati con un’attenzione maniacale al dettaglio e attenzione verso l’ambiente che le circonda. In questa intervista ci raccontano come è nato Narcysa e che cosa significa per una donna fare impresa.

Come nasce l’idea di questo marchio?
Il marchio Narcysa, come molte cose della mia vita, è nato all’improvviso, senza pensare che dopo 7 anni saremo stati ancora insieme. Era un nomignolo che mi era stato affibbiato, mi piacque e lo regalai alla produzione di borse in tessuto che avevo appena iniziato. A “Narcysa” affiancai “Retro Chic” perché l’ispirazione nasceva, tra le altre cose, dal concetto di bellezza tipico degli anni ’20 del ‘900, così diverso da quello attuale. Ecco, per me gli anni ’20 sono l’età dell’oro, per dirla come Gioacchino da Fiore. I nostri pezzi erano più barocchi, più eleganti. Poi le cose sono cambiate. A me si è affiancata mia sorella Liana e il nostro sentire è diventato di un “duo”: il mio animo barocco si è evoluto verso la linearità, mitigato dal gusto sobrio di Liana. I nostri prodotti sono diventati meno eccentrici, più rivolti alla donna moderna che non vuole omologarsi e che tiene ad avere un proprio stile. Questi cambiamenti nel nostro approccio con la moda e il tempo, ha fatto sì che, nel 2016, Narcysa Retro Chic diventasse Narcysa-Manifattura Italiana. E in questa nuova veste ci sentiamo pienamente a nostro agio.
Da cosa prendete ispirazione per creare i tuoi prodotti?
Partiamo dal concetto dostoevskijano, probabilmente neanche tanto originale, che è la bellezza che salverà il mondo. Ammettiamolo, il bello è un concetto decisamente soggettivo e, messe davanti alla stessa cosa, io potrei dire che è orrenda ed un’altra persona innamorarsene perdutamente. Ebbene, non considerando il “bello estetico” perché se no, a volerne parlare seriamente potremmo fare pure notte e persone molto più autorevoli di noi ne hanno già diffusamente scritto (per tutti, “Storia della Bellezza” U.Eco), c’è però un bello speciale, quella scintilla che non puoi vedere ma solo percepire. È quella cosa che ti toglie il fiato davanti ad una montagna innevata o che ti fa sorridere davanti ad un arcobaleno improvviso. È questo bello “universale” che ci attira, è questo che ricerchiamo.
Quanto è importante il legame con il territorio da cui provieni?
Abbiamo la fortuna di vivere in una terra benedetta da ogni meraviglia e che è regina indiscussa di ogni contrasto. La Sicilia o la ami o la odi, non c’è possibilità per gli ignavi e noi siciliani siamo così: possiamo essere ovunque nel mondo ma il cuore batte sempre dentro quel pezzettino di terra dalla strana forma triangolare, sorretto da Aci che amava Galatea e dimora del ciclope Poseidone. Terra di miti, leggende e favole, terra di fuoco e di mare. Come può un posto del genere non influenzare la nostra creatività? A volte creiamo collezioni tematiche, altre singoli pezzi ispirati ma spesso ci sono i fiori dei nostri campi, il blu del mare, il rosso della lava e il nero della terra. C’è poi un modello a cui siamo particolarmente legate, ed è nato proprio nel 2016 appena passato.
A quale modello fate riferimento?
È il modello che abbiamo chiamato “Audrey” ed ha una particolarità: la sua struttura superiore è realizzata con canne fluviali. Sì, proprio quelle che si ritrovano sulla spiaggia in inverno dopo le mareggiate. Sono leggere e resistenti e sono piaciute molto alle nostre clienti. Anche questo è un modo per amare la nostra isola e far sì che, una delle terre più conquistate, viste, depredate, amate, offra ancora qualcosa di incredibilmente unico: le canne portate dal mare continuano ancora il loro viaggio in giro per il mondo, solo, stavolta, dentro una borsa. La Sicilia è una terra molto particolare e non a caso è appena un pelo sopra “Mamma Africa”.
Dalla tua esperienza, le piccole realtà di artigianato Made in Italy riescono a farsi spazio in mezzo ai colossi del fast fashion?
Le piccole realtà del Made in Italy non possono in alcun modo competere con i colossi del fast fashion: costi, organizzazione, produzione differenti. Non ci competi, ci convivi. È il cliente che cambia: chi acquista dal fast fashion vuole semplicemente un prodotto grazioso, alla moda e che costi poco. In quella circostanza quel tipo di cliente, ignora volutamente qualità od eticità del prodotto che, invece, per noi sono fondamentali. Sulla qualità non ci soffermiamo nemmeno; è piuttosto intuitivo che un cappottino industriale che costi al consumatore finale meno di 100€ ha sicuramente qualcosa in meno dello stesso prodotto artigianale, realizzato su misura e in materiali di alta qualità e che magari di euro ne costa 400. Quello che ci preme invece sottolineare è il concetto di eticità; noi stesse ci riflettiamo da qualche tempo e lo coltiviamo.
In che modo lo coltivate?
Un prodotto artigianale dura nel tempo. È fatto per questo. Riduce gli sprechi, viene realizzato da persone identificabili e ciò crea una garanzia per il consumatore. Se in una mia borsa c’è un difetto, la cliente che l’ha comprata sa che può rimandarmela e io l’aggiusterò; e quella stessa cliente sa che il prodotto che ha acquistato non è stato cucito da un bambino o da una persona che lavora in condizioni che rasentano la schiavitù. E anche questa è una garanzia per il consumatore. Un prodotto etico, insomma, rispetta l’umanità e la terra. E a questo dobbiamo pensarci tutti, considerato come stanno andando le cose. Certo, Narcysa-Manifattura Italiana è una realtà troppo piccola per poter avere un reale, immediato impatto sul pianeta ma noi facciamo la nostra piccola parte.
Per una donna che ha figli e famiglia, è più difficile fare impresa?
Nessuna di noi due ha, al momento, figli e famiglia e quindi non possiamo parlare per esperienza diretta. Però ci guardiamo intorno e ti diciamo che sì, i figli e la famiglia sono complicati da gestire insieme ad un’impresa. Se sei un libero professionista o un artigiano, se hai un emergenza, una malattia o devi assentarti dal lavoro per un certo periodo non hai alcun tipo di “paracadute”: il più delle volte speri che non ti capiti nulla e che la tua “rete di salvataggio” composta da famiglia e amici, si attivi per attenuare la caduta.
Il mondo delle aziende è ancora esclusivamente appannaggio maschile? Una donna fa più fatica a fare sentire la propria voce?
Credo che dipenda moltissimo dal settore. Purtroppo siamo ancora impantanati negli stereotipi di genere perché ci sono gli argomenti “da maschi” e “da femmine” per cui un uomo sarà sicuramente più preparato nel parlare di pneumatici che di abbigliamento. Sbagliatissimo. Finché non ci libereremo di questo meccanismo – e in tutti i campi del vivere sociale -, sarà ancora difficile per le donne fare sentire la propria voce innanzi a seri piani marketing o business o per gli uomini avere un congedo di paternità. È il sentire comune che deve cambiare, gli individui ne hanno tutte le capacità.