Il nome, in dialetto romagnolo, significa “reggitrice”: l’azdora  nella società tradizionale di questo tratto della costiera adriatica era la matriarca, dalla quale dipendeva l’amministrazione della casa e della famiglia.

L’azdora è un simbolo squisitamente romagnolo, la immaginiamo con il grembiule legato a vita e le mani in pasta, intenta a preparare tortellini o passatelli, ma la storia che siamo per raccontare non tratta di tagliatelle.

L’artista svedese Mark Ohrn ha portato in scena il progetto Azdora,  Öhrn decide di conoscere più a fondo la figura della azdora romagnola che ha un ruolo centrale e di grande autorità in famiglia, non le è permessa alcuna assenza, alcun sentimento distruttivo al fine di preservare l’equilibrio dell’economia domestica.

Merk Öhrn ha voluto per protagoniste proprio le azdore.

Quello che non sapevano le protagoniste, una quindicina di signore romagnole di una certa età, è che si sarebbero ritrovate a fare Black Metal con tanto di chitarre distorte e trucco degno dei Kiss.

Molte pensavano che questo regista volesse, che ne so, cucinare, fare della pasta fresca in scena. Si sono presentate nella maniera più spontanea e ingenua del mondo e si sono ritrovate invece a fare tutt’altro.

Il regista ha spiegato il progetto- che ha dedicato all’adorata nonna- in una frase, un pensiero della sua nonna sulla propria vita. Un pensiero che riportiamo senza tagli perché ci ha fatto riflettere

Un giorno il regista ha chiesto alla nonna “quale fosse stato il suo più grande rammarico e lei gli ha risposto che per tutta la vita aveva assistito il resto della famiglia e ognuno, in modi diversi, aveva avuto momenti in cui potersi arrabbiare, litigare, sfogare, cose normalissime, mentre lei no. Lei aveva sempre dovuto essere quella pronta ad accogliere tutti a braccia aperte, con un sorriso, senza poter mai fare qualcosa di distruttivo, fregarsene, ubriacarsi, incazzarsi. Qualcosa che non fosse nel suo ruolo di donna e di perfetta casalinga.”

in Italia la situazione era molto simile, è molto simile in tutto il mondo, così è stato messo in scena uno spettacolo in cui in cui protagonista fosse lo sfogo di queste signore, per una volta affrancate dal loro ruolo prestabilito.

Queste sono le storie di donne che ci fa piacere raccontare, storie in cui i ruoli non sono prestabiliti, storie di donne che a loro modo hanno fatto una rivoluzione e le azdore insieme al regista svedese, è innegabile che l’abbiano fatta.

Silvia GALLI