Questa volta entriamo in un mondo forse non esplorato quando dovrebbe, il panorama radiofonico italiano. Stefano Mastrolitti, lo abbiamo conosciuto in tempi non sospetti durante i tragitti in macchina a sud di Roma con Radionorba. Adesso il ragazzo ha fatto strada ed è la voce di Radio 101 con Chiara Tortorella. Noi lo amiamo già, dopo questo ‘se fossi’ lo amerete (ancora di più) anche voi…

Se Fossi :
– Un libro
Se fossi un libro sarei Tokyo blues, Norwegian wood di Haruki Murakami, che non è il mio libro preferito, dal momento che non riesco a dirne uno solo su tutti, ma è stato un libro importante nella mia vita. È arrivato in un momento cruciale e mi ha ricordato quanto, per me, sia di vitale importanza non smettere mai di scrivere. È pregno di musica, che è mia compagna di vita ogni giorno, per passione e per professione. E poi è un libro che è riuscito a leggermi dentro, rivelandomi il dono dell’incoerenza e delle contraddizioni esistenziali. Per questo è il mio libro preferito.

– Un film
Amo il cinema, forse più della letteratura e della musica. Ma lo amo da fruitore e per questo, pur avendo qualche esperienza diretta con il set, mi sforzo di restare coscientemente inesperto, per non perdere ‘l’ingenuo incanto’ e poi perché non sopporto lo snobismo della critica. Il film più impresso nella mia mente è sicuramente Before Night Falls di Julian Schnabel. L’ho visto a 14 anni, nella prima uscita di classe del quarto ginnasio (cosa quantomeno insolita, dato il contenuto molto “forte” di storia e immagini) e da allora mi si è aperto un mondo intero nella testa. La trasgressione e la storia, la rivoluzione e l’intolleranza, l’America Latina e la sofferenza umana, il sesso multiforme, ma soprattutto la meravigliosa faccia di Javier Bardem e la straordinaria voce del suo doppiatore italiano Roberto Pedicini. Se Murakami mi ha instillato l’amore per la scrittura, Pedicini mi ha folgorato sulla via della voce come strumento di lavoro. Per questo, ancora oggi vorrei ringraziare la professoressa che fece questa scelta così coraggiosa e anti-convenzionale. Se solo ricordassi il suo nome.

– Un indumento
Se fossi un indumento sarei sicuramente una di quelle maglie lunghe a maniche corte, con il collo larghissimo e un po’ ripiegato su se stesso, stile tronista di Maria De Filippi. Non so se c’è un nome preciso per tutto questo, perché pur avendo una moglie che lavora con la moda, non ne sono esperto, tanto meno appassionato (il che spesso è fonte di liti accese e di rappacificazioni ancora più accese). Però credo che questo indumento rappresenti al meglio il forte lato trash ed esibizionista che alberga fieramente in me e che spesso lascio trasparire con orgoglio, quando parlo la radio. E poi perché, a me, i vestiti da tronista di Maria De Filippi, mi stanno da dio!

– Una città
Se fossi una città sarei Bari, perché la amo da morire. È la città in cui sono nato, da cui sono fuggito, in cui sono tornato e da cui sono fuggito di nuovo. Esattamente come si fa con il vero amore. Infatti con mia moglie e con la radio è andata allo stesso modo, tranne che da loro, alla fine, non sono più fuggito. Quindi può darsi che, alla fine, riuscirò a tornare anche dalla mia amata Bari. Sicuramente un giorno ci torneranno i miei resti cremati, sempre che i miei discendenti rispettino le mie ultime volontà, prima di spartirsi l’eredità.

– Una storia d’amore
Senza dubbio la mia, con mia moglie. Ci siamo messi insieme quando avevo 17 anni. Lei ne aveva 18, quindi legalmente commise un reato, ma essendo io consenziente se l’è cavata con poco: me. Un anno di storia in perfetto stile Dawson’s Creek e poi ci siamo lasciati (omissis sul motivo, su richiesta dei legali di mia moglie). Eppure negli anni a venire “non ci siamo mai persi di vista” (omissis sui dettagli, sempre su richiesta dei legali di mia moglie) inseguendoci in varie città d’Italia: Napoli, Bari, Roma…
Alla fine ci siamo ritrovati, da grandi: nel momento più difficile della mia vita, lei ha deciso di mollare tutto (città, carriera, amici, fidanzato…) per starmi accanto.
Insomma, nemmeno nelle peggiori commedie strappalacrime americane c’è tanto miele!
P.S. Io in compenso ho organizzato il matrimonio più cool e funny degli ultimi 50 anni… ma che dico, di sempre! A me Enzo Miccio mi stira le camicie…

– Un fiore
Vale il fiore di zucca? In primo luogo perché uno dei miei pensieri fissi è il cibo, in tutte le sue forme e declinazioni e come fa i fiori di zucca farciti, impanati e fritti mia madre, spostatevi proprio. E poi perché questa risposta che ho dato mi ricorda tanto la versione di Nomi, Cose e Città che proponevano Toti & Tata su Teledurazzo (ndr Il duo comico formato dal barese Emilio Solfrizzi e dal napoletano Antonio Stornaiolo). Ed è bene che si sappia che Toti & Tata sono stati due punti cardine per la mia formazione intellettuale.

– Un colore
Un qualsiasi colore fluorescente, o fosforescente, non ho mai capito la differenza. Non tanto perché il fluo vada di moda (lo vedo dal guardaroba di mia moglie) quanto perché i colori fluorescenti mi ricordano i giocattoli, ma anche le figurine, la cancelleria e credo anche alcuni alimenti degli anni ’90, ovvero gli anni della mia infanzia.
Ora, considerato che io ho cominciato ad essere nostalgico a 13 anni, fate un po’ voi.

– Un personaggio dei fumetti/cartoni
Per anni ho desiderato essere Dylan Dog. Leggo e amo le sue storie ancora oggi, fin dal primo numero. La radio mi ha permesso di conoscere i suoi “papà”, Sclavi e Stano. Sono una persona vittima di entusiasmi-lampo (folgoranti, ma anche brevissimi) e Dylan Dog, come la radio, è una delle pochissime passioni che non ho interrotto per noia o disinteresse. Si potrebbe dire che siamo cresciuti insieme. E forse un po’ sono diventato Dylan Dog. Nel senso che ho vissuto talmente tanto intensamente ogni sfaccettatura del suo personaggio, da averne assorbito in parte atteggiamenti, convinzioni e caratteristiche.
Tutto sommato, mi è andata bene. Pensa se, al posto di Dylan Dog, mi fossi appassionato a Gigi D’Alessio…

– Una pietanza
Calma. Questa domanda per me è improponibile. Amo talmente tanto mangiare, che scegliere una sola pietanza sarebbe un delitto. Vivrei di rimorsi per sempre.
Pensa che uno dei miei obiettivi professionali è curare una rubrica sul cibo, possibilmente in radio. Però posso dirti una cosa: quando avevo 12 anni, sulla prima pagina della mia Smemoranda, quella in cui si mettevano i dati del proprietario, alla sezione “cibo preferito”, scrissi senza pensarci nemmeno un secondo: “pomodori secchi sott’olio”.
E a 12 ero molto più saggio e risoluto di adesso.

– Un’altra persona
Per troppo tempo ho desiderato essere altre persone. Ho dovuto attraversare un vero inferno, per imparare ad amarmi e per capire che non poteva capitarmi niente di meglio che essere me stesso.

– A chi vorresti fare queste domande?
A te, che mi hai dato questa possibilità e che hai ideato l’intervista più divertente a cui mi sia capitato di rispondere finora.
Ma soprattutto, mi hai fatto risparmiare i soldi della seduta settimanale dall’analista.

– Come mai hai deciso di intraprendere la professione che fai?
Se ti dico che non sono stato io che ho scelto la radio, ma la radio che ha scelto me, penserai che è la classica risposta paracula, per menarsela e dire tutto, senza dire niente. Ma è andata proprio così.
C’è stato un tempo in cui indossavo ogni giorno giacca e cravatta, vivevo a Roma ed ero esattamente tutto ciò che non avrei mai voluto essere. Poi è arrivata la radio, mi ha sfilato la giacca, mi ha slacciato la cravatta e mi ha salvato la vita (dopo avermi posseduto carnalmente più e più volte, sia chiaro…).
Io ho solo dovuto darle una mano, mollando tutto per lei.
(È un po’ più complicata di così, ma accontentati della versione poetica…)

– Chi è stata la tua fonte di ispirazione e il tuo mentore?
Radiofonicamente parlando, credo Leonardo “Leopardo” Re Cecconi, il primo vero “prototipo” di Dj delle radio libere italiane, purtroppo scomparso prematuramente. Invito chiunque ci stia leggendo a scoprire la sua storia, davvero affascinante.
E poi, da bulimico di radio quale sono, ho preso e continuo a prendere ispirazione da tanti colleghi molto più autorevoli di me, che non penso abbia senso citare.
Umanamente parlando, invece, devo tutto ai miei genitori, che mi hanno cresciuto ripetendomi un solo, unico, mantra: “a noi non importa ciò che fai, ma che tu faccia ciò che ti rende felice…”
Poi mio padre – sottovoce – aggiungeva sempre: “l’importante è che non sia illegale!

Margherita QUARANTA