Di violenza sulle donne non si parla mai abbastanza. Una giornata per ricordarci il dovere morale e civico che abbiamo nel combatterla serve, ma non è sufficiente. L’impegno deve essere costante e partire dalla sensibilizzazione delle nuove generazioni. In questa Giornata che si impegna a ricordarci ancora una volta l’importanza di una lotta indefessa contro la violenza sulle donne, abbiamo scelto di intervistare Stefania Coco Scalisi, esperta di analisi rischio politico e di comunicazione. Siciliana di nascita e di cuore, giramondo per lavoro e per passione (la sua professione l’ha portata in Svizzera, America, Olanda, Inghilterra, Russia e Israele), Stefania è testa e cuore di We Safe, un’app che vuole essere un salvavita 2.0, pensata non solo per le donne, ma anche per le donne. Sfruttando la tecnologia e la nostra attitudine ad essere sempre connessi, ha creato un’applicazione che, in caso di pericolo, avverte con un semplice click la nostra rete di affetti. Nell’intervista ci spiega cos’è, come funziona e perché ha deciso di cimentarsi nell’impresa.

Da cosa è nata l’esigenza di creare We Safe?
We Safe è nata con l’idea di utilizzare la tecnologia e il nostro essere perennemente connessi a proprio vantaggio. Nonostante abbia creato un prodotto tecnologico, io ho una posizione piuttosto critica nei confronti del Web e dei suoi usi. Limito al minimo la mia presenza sui social e sono ancora una di quelle che scrivono le lettere a mano. Proprio a causa della sovraesposizione mediatica, di un web e di una tecnologia sempre più invasivi e spesso sempre più inutili, che ho pensato che un’app può avere senso solo se può effettivamente aiutarci. Ed allora è nata We Safe, un salvavita 2.0 che si serve della tecnologia con un fine: quello di aiutarci in caso di pericolo.

Puoi spiegarci di cosa si tratta con esattezza?
È un’app davvero semplice. Cliccando la sua icona, si avvia un breve timer al cui scadere verrà inviato un SMS con una richiesta di aiuto e con le proprie coordinate GPS ai contatti preselezionati della propria rubrica. I contatti sono sempre modificabili, qualora, ad esempio, ci si trovasse all’estero. Ho in mente alcune migliorie per rendere la App ancora più semplice e immediata. Perché quando si è in panico, spesso si hanno solo pochi secondi per lanciare un allarme.

È un’app che riguarda solo le donne o anche le donne?
È un’app che riguarda tutti. Ed è per questo che ho voluto che fosse gratuita. Può servire agli anziani, magari sono soli a casa, in caso di malore. Ai bambini che si smarriscono, o agli adulti che hanno avuto un incidente o si sentono in pericolo. È utile a chiunque sia in panico e non abbia il tempo, lucidità o forza per chiedere aiuto in modi più convenzionali, con una telefonata ad esempio. Ma non posso negare che è alle donne che ho subito pensato quando ho immaginato We Safe. Perché nel pieno delle violenze spesso non si può o non si vuole chiedere aiuto nei modi classici. We Safe ti permette con un semplice click di avvisare i tuoi amici, chi ti conosce e in un attimo realizza cosa può esserti capitato. È molto più rapido e, nel caso della violenza contro le donne, permette di abbattere quel primo muro di diffidenza e imbarazzo che troppe volte impedisce a una donna di chiedere aiuto.

Ti è mai capitato di trovarti in situazioni di pericolo reale? Qual è stata la prima cosa che hai pensato di fare istintivamente?
Si mi è capitato e forse è grazie a quell’esperienza che è nato il germe dell’idea. Viaggio spesso per lavoro e mi capita di trovarmi in posti convenzionalmente ritenuti come pericolosi. È stato in Libano che mi sono trovata ad essere seguita e molestata da un uomo che mi ha seguito fin sopra un bus che avevo preso giusto per cercare di liberarmene. A peggiorare le cose, il fatto che io non parlassi l’arabo, che creava un ulteriore barriera e ostacolo. Sono stati gli altri passeggeri del bus a prendere le mie difese e a far sì che quell’uomo scendesse e mi lasciasse in pace. In quel caso sono stata fortunata e l’esperienza mi è servita a capire come una “rete” di gente amica, nel mio caso i passeggeri di un autobus di linea di Beirut, può diventare il primo efficace strumento di aiuto se in pericolo. Da qui l’idea di We Safe: una rete di affetti che si mobilita per te se ne hai bisogno.

I casi di violenza sulle donne non accennano a diminuire. Credi che possano in qualche modo dipendere da un rigurgito di maschilismo?
Assolutamente sì. Ci sono motivazioni profonde, che possiamo riassumere per semplicità con il concetto di crisi del sesso forte. In una società sempre più allo sbando, dove i punti di riferimento cadono, lavoro e indipendenza diventano sempre più difficili da ottenere, ci si aggrappa alle etichette identitarie come un salvagente per il timore di affogare. Una donna che reclama la sua indipendenza stravolge usi e consuetudini radicate nei secoli e che vanno a solleticare le corde della paura anche di chi si mostra a parole aperto e moderno. Ancor più oggi. Viviamo in tempi arrabbiati, e il maschilismo è una delle tante facce che assume.

Da cosa possiamo partire per sensibilizzare, più di quanto già non si faccia, la società sull’argomento?
Non è un percorso semplice. Si deve far capire che quello che ottengo io, non toglie niente a quello che puoi ottenere tu. Non è un gioco a somma zero. Ma perché questo messaggio arrivi bisogna iniziare da subito: dalle scuole, non solo i licei, ma anche e soprattutto le medie, la prima vera palestra per ognuno di noi. Far capire che la forza non consiste nella violenza fisica. E che tra paura e rispetto c’è una grande differenza.

Credi che le prime nemiche delle donne siano proprio le donne, quando tra di loro si appellano con epiteti volgari e sminuenti?
Assolutamente. C’è qualcosa di davvero masochista nel remare contro una donna e purtroppo ognuno di noi ha pensato almeno una volta che il successo di una nostra conoscente potesse essere dovuto ad altro che alle sue capacità. Credo che molto faccia quanta fiducia si ha in sé stessi: quando se ne ha poca, attaccare è la vera difesa. Soprattutto una donna che stravolge i ruoli che per secoli sono stati diversi. Io sono arrivata a un punto della mia vita in cui, per fortuna, ho raggiunto un buon equilibrio e dunque trovo bello aiutare un’altra donna a farsi valere. Anche per questo è nato We Safe. Ma sono consapevole di quanto spesso sia diverso. E di come la poca mancanza di empatia degli anni in cui viviamo, peggiori la situazione. Anche in questo caso sarebbe forse necessario iniziare da subito a dire alle bambine che se vogliono possono ottenere ciò che vogliono. Farò forse il verso a Hillary Clinton. Ma d’altronde è stata o non è stata la prima donna ad essere candidata alla Casa Bianca?

 

Pinella PETRONIO